Se c’è una macchina che può essere definita “la macchina europea” per antonomasia, questa è proprio la Golf. Per la Golf ho sempre avuto una certa ammirazione, lo ammetto. Quando ero bambino la Golf II GTI era una delle auto più desiderata e desiderabile assieme alla rivale Ritmo Abarth, l’Alfa 75 e la Uno Turbo e proprio la Golf II credo sia, assieme alla prima che non a caso fu disegnata dall’italianissimo Giorgetto Giugiaro, la più bella ed inossidabile di tutte.

La Golf si è modificata negli anni in linea con la filosofia tedesca dell’evoluzione piuttosto che della rivoluzione, rimanendo sempre fedele a sé stessa, non stravolgendo mai il terzo montante e quella linea così semplice (quasi da ferro da stiro), ma proprio per questo così praticamente immune al passare del tempo.

Mai tranne che in un’occasione e mezza.

La Golf V del designer turco Murat Günak infatti ruppe gli schemi, con le sue linee tonde e la sua cabina nettamente più alta, facendo discutere e creando uno scompiglio tra gli appassionati che si è rivisto solo anni dopo, con il frontale della contemporanea Golf 8.

Era il 2003 ed erano  gli anni in cui andavano di moda le monovolume esattamente come oggi vanno di moda i SUV e le auto, per vendere, dovevano strizzare l’occhio proprio al mondo delle famiglie; è quindi comprensibile, a distanza di 17 anni, la scelta controcorrente di Günak.

La compatta di Volkswagen però, dopo un anno non vendeva come le precedenti 4 serie (in totale ne furono vendute 3 milioni e 270 mila esemplari contro i 4,920,000 della Golf 4 ed i 6 milioni e mezza delle prime due serie) e per cercare di spingerne i risultati fu lanciata la Golf Plus, la versione monovolume (esattamente come oggi vengono lanciate le versioni “suvveggianti” un po’ da parte di tutti i costruttori) più alta di 11 centimetri che andava a combattere proprio nel segmento all’epoca più redditizio, quello delle C-MPV – monovolumi di segmento C – dove trovava l’agguerritissima Mégane Scénic e la Focus C-Max (poi rinominate semplicemente come Scénic e C-max).

Oltre all’aggiunta della versione rialzata la Golf V iniziò a condividere il pianale con la Passat (che nelle serie precedenti invece era imparentata con l’Audi A4, condividendone la più raffinata architettura a motore longitudinale) andando a ridurre nettamente i costi e salvaguardare gli utili nonostante le minori vendite (stiamo comunque parlando di milioni di esemplari).

Con la Golf VI entrano di nuovo in gioco gli italiani. Walter de Silva e Flavio Manzoni (oggi Ferrari) creano quella che, sebbene sia una nuova serie, è stata di fatto un restyling della Golf V, senza stravolgerne le linee quasi da monovolume ma aggiornando quelle eccessive “rotondità” che non sono mai state del tutto amate dallo zoccolo duro degli milioni di amanti della due volumi tedesca.

La Golf VI che abbiamo in prova è la versione 4motion, quindi AWD, con il 2.0 TDI (che però sulla sesta serie è Common Rail e non più a Pompa-Iniettore, sistema tipico di Volkswagen) che è poi diventato tristemente famoso per il Dieselgate.

Probabilmente, nonostante le matite prestigiose che l’hanno concepita, è la Golf che meno di tutte ha lasciato il segno stilisticamente con il suo voler essere ancora un po’ monovolume ma anche un po’ “più Golf” anche se, in versione GTI e di un colore Scuro come tutte le Golf ha ancora qualcosa da dire.

Eppure l’abbiamo scelta, nonostante il motore ed il suo essere “anonima”, perché anche se la più “attaccabile” di tutte, sa essere comunque Golf; sa essere concreta, solida, sensata e, sul mercato dell’usato, anche estremamente economica proprio perché Diesel. Una macchina che se si vive lontano dalle grandi aree metropolitane che sottopongono i motori a nafta a restrizioni più o meno vessatorie, può ancora essere una soluzione ottimale per quella famiglia che non vuole indebitarsi con un’auto nuova e vuole qualcosa che, anche dopo centinaia di migliaia di chilometri, sappia rimanere relativamente affidabile, ben fatta e tremendamente versatile.

La Golf è proprio questo: la Fidanzata d’Europa. Dalla mitica GTI prima serie, passando per l’”insignificante” VI serie della prova fino alla incredibile, settima serie in versione R, la macchina che dal cuore dell’Europa ha messo le ruote a milioni di persone nel mondo, tanto iconica da essere rappresentata persino in GTA San Andreas e tanto conosciuta che in America viene semplicemente chiamata “VW GTI”.

Dicono che la ID3 ne raccoglierà l’eredità ma, a mio modesto avviso di petrolhead degli anni ’80, sarebbe come pensare di progettare una piazza cittadina a Roma e fare concorrenza al colonnato del Bernini. Forse non impossibile, ma davvero tanto difficile.

 

Luca Santarelli

Sono Luca, Piede Pesante degli anni ’80. Da bambino volevo fare il ferroviere, il "guidatore" o il pilota di F14. Mi piace tutto quello che ha un motore e fa rumore (anche le bici però) tanto che, di usare cose a motore rumorose, alla fine ne ho fatto una professione. Mi piace anche viaggiare e fare le foto, sono qua anche per questo. Non mi piacciono il sottosterzo, gli scarichi finti e soprattutto quando arrivi al Bar per fare colazione e sono finiti i cornetti! Benvenuti su Piedi Pesanti.

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