Auto

Rassegnati mentre uccidiamo una passione

A fine anno si tirano le somme e io solitamente non lo faccio. Un po’ perché sono certo della mia inadeguatezza nel rispettare i buoni propositi e un po’ perché in fondo chiudo sempre con la speranza di essere travolto da qualche novità positiva. Questo non sarà un vero articolo ma vuole essere solo una piccolissima riflessione di fine anno su ciò che è stato e ciò che, ahimè, sarà. 

Il 2019 ci ha insegnato che tutto ciò che non è elettrico viene visto come il figlio illegittimo del demonio. Compri una vettura a benzina? Non hai la coscienza green e l’intelligenza di capire che è arrivato il momento di cambiare. E solitamente chi punta il dito verso noi petrolhead non ha la minima competenza per poter sentenziare a favore di una o di un’altra fonte di energia. I grandi marchi investono con più costanza nelle auto alimentate da energie più o meno rinnovabili (da noi l’energia elettrica si produce prevalentemente con olio combistibile) eppure nessuna casa si preoccupa di rendere queste auto user friendly e soprattutto alla portata di chi, in un momento di congiuntura economica simile, non può spendere cifre esorbitanti per scorrazzare in giro la famiglia. La stessa famiglia che molti genitori italiani muovono su SUV inutili e instabili ritenendoli sicuri e pronti ad affrontare qualsiasi scenario apocalittico.

Piano piano stanno scomparendo le station wagon perché gli investimenti vengono dirottati al reparto “berline sui trampoli”. Ma le auto stanno cambiando, le coscienze stanno assimilando nozioni sbagliate e fuorvianti quando storicamente l’evoluzione dovrebbe portare benessere.  Nel 2019 una buona fetta di automobili è stata stravolta in nome di esigenze di mercato basate su teorie più o meno folli. Un paio di esempi indicativi di quanto questa realtà sia stravolta. Marchi di spicco come BMW propongono sul mercato una vettura che di BMW non ha quasi nulla. La nuova Serie 1 è di fatto la portabandiera di una nuova generazione di auto, una generazione che fa leva sulla potenza mediatica di un marchio piuttosto che sulla storicità e originalità di quest’ultimo.

Sapete tutti che la nuova Serie 1 ha abbandonato la trazione posteriore. Ho chiesto ad amici e conoscenti di associare al nome BMW un elemento distintivo e quasi tutti mi hanno risposto trazione posteriore. Per un appassionato la Serie 1 era una perla più unica che rara. Ora invece le strategie di mercato portano anche la berlina del marchio dell’elica a una triste omologazione. Cosa c’è dietro? Semplice e complicato allo stesso tempo. Un fattore che ha giocato un ruolo chiave è stato l’ignoranza dei consumatori. BMW ha sottoposto i propri acquirenti a un sondaggio. La maggior parte di loro non sapeva dove andavano montate le catene da neve e, di conseguenza, non era a conoscenza di che tipo di trazione fosse “montata” sulla loro Serie 1.

Un altro fattore da non sottovalutare è la presenza di una piattaforma adattabile alle numerose vetture del marchio e dei marchi che orbitano intorno a BMW; uno su tutti Mini. In definitiva come molti dicono la Serie 1 rischia di trasformarsi in una banalissima Golf; e proprio parlando di Golf, non vi sembra che la nuova generazione ovvero l’ottava stia arrivando in sordina?

I media ne parlano poco, i motori di ricerca non la suggeriscono e gli appassionati del marchio la ignorano. Dagli anni ‘70 la Golf si è guadagnata a una fetta enorme di mercato a suon di rigore tedesco e qualità. Ma c’è anche un altro fattore che ha giocato un ruolo fondamentale. La pubblicità. Non ho mai apprezzato molto questa vettura me devo ammettere che ogni pubblicità era degna di un Oscar, e ti spingeva a comprare quella vettura senza neanche valutare le competitor. Celebre lo spot con una vecchietta che vendeva la sua Golf rossa a padre e figlio ignari (data l’apparente qualità del mezzo) delle evoluzioni alle quali la stessa era stata sottoposta dall’attempata nonnetta.

Iconica anche quella in cui tre signore americane si confrontano sulle presunte emissioni della VW (ironia della sorte, Diesel). Due pubblicità che mandano un messaggio chiaro. Nell’epoca delle auto inaffidabili VW urlava al mondo il suo essere indistruttibile; nell’epoca della lotta all’ecologia lo stesso urlo autoproclamava VW paladina dell’ambiente. Sappiamo poi tutti com’è andata, leggasi DIESELGATE.

Ma perché parlarvi delle pubblicità? Semplice. Ad oggi pochissime sono le pubblicità nei confronti della nuova Golf. VW si sta concentrando sulla promozioni a 360° della ID3. Anche questa volta i tedeschi ci danno una lezione di marketing importantissima. Sanno che questo è il momento in cui l’elettrico raccoglie consensi dalla stampa e dagli ambientalisti e quindi il momento migliore per lanciare il prodotto! Tutto il clamore mediatico verso l’evoluzione elettrica e tecnologica della VW si estenderà di riflesso anche alla nuova Golf che sono certo venderà benissimo come al solito pur non essendo nulla di coinvolgente ne tantomeno stupefacente.

E che dire di Ford? Un marchio che noi piedi pesanti amiamo per quanto carattere e personalità inietta nelle vene delle proprie vetture. Eppure di recente fa storcere il naso a molti che al nome Puma assocerebbero volentieri una coupé sportiva e non un crossover. Mi sento di difendere Ford perché ha la capacità di distinguersi in ogni settore in cui punta a fare utili. Andrò controcorrente ma la nuova Puma è di mio gradimento nel senso che pur non amando i SUV capisco che per il bene del marchio una scelta simile era inevitabile. Molti avrebbero voluto una coupé magari affilata come una ST (me compreso) eppure il mercato comanda. Certo, potevano chiamarla in tanti modi diversi, ma Puma era ciò che serviva per stuzzicare chi la prima Puma l’ha posseduta e chi vuol dar fiato alla bocca alimentando polemiche che comunque portano sempre attenzione al produttore. Puma dunque che da coupé cresce e diventa crossover.

Poi c’è lei, FCA. Tanto impegnata a chiudere accordi col mondo intero da sottovalutare gli enormi danni che sta recando ai suoi marchi. Alfa Romeo in primis, che si vede sfilare sotto il naso una fetta di mercato enorme lasciata vuota da una obsoleta e ormai non più competitiva Giulietta. E il Biscione perde anche la battaglia sul fronte utilitarie perché l’assenza di una nuova MiTo costringe anche i più affezionati ai marchi italiani a dirigersi altrove. E questo è un problema di tutta FCA che da quando ha rinunciato alla Punto ignora di fatto uno dei settori più prolifici del mercato che Panda e 500 da sole non possono “riempire”. Ma torniamo ad Alfa, il 2019 doveva essere un anno di svolta. La resa dei conti che gli italiani aspettavano da tanto tempo. Nulla di tutto ciò è avvenuto. Se all’orizzonte si vede un non ben definito Tonale è altrettanto significativo ciò che si apprende nelle ultime ore riguardo al potenziale utilizzo di telai francesi derivati dalla 208 proprio sul baby suv del Biscione. Un affronto continuo ad anni di gloriosa storia interrotti ormai da decenni che hanno creato una ferita così profonda che non sono bastate Giulia e Stelvio a rimarginare.

Giulia e Stelvio sono auto che apprezzo sotto tutti i punti di vista anche se vittime di strategie di marketing completamente sbagliate. Ben venga presentare la Giulia, colonna portante di un nuovo progetto su piattaforma Giorgio, ma è assurdo non proporla in versione Sportwagon quando Alfa da sempre si è imposta in questo settore. Assurdo non proporre parallelamente una nuova versione di Giulietta che andasse a colmare il vuoto lasciato tra Giulia e Stelvio. Da anni Alfa Romeo gode di cattiva fama per quanto concerne la qualità generale delle sue autovetture troppo spesso simili alle cugine Fiat. Quanto ciò sia vero non sta a me dirlo ma sta di fatto che Giulia e Stelvio alzano nettamente l’asticella della qualità che, seppur leggermente inferiore ad Audi, fa comunque segnare un ottimo punteggio generale.

Auto ben fatte dunque ma vendute male, perché in Italia è inammissibile pensare di poter rubare clienti alla concorrenza tedesca proponendo loro una vettura di pari prezzo ma priva del blasone di un tempo e priva della solidità psicologica delle rivali.

Prima di convincere qualcuno a scendere dalla propria Q5 o dal proprio X3 è necessario dimostrare di saper competere nei settori più piccoli e più feroci del mercato. VW i numeri veri non li fa con Touareg e Passat ma con la Golf. Stesso discorso dicasi per Audi. Alfa doveva dimostrare a chi era incerto di saper fare una Giulietta qualitativamente superiore alla concorrenza. Una vettura popolare capace spronare anche i più incerti. Una vettura tanto popolare quanto convincente. Una anti-golf che ahimè non c’è mai stata. Tutto ciò ha di conseguenza tolto valore e fascino anche a Giulia e Stelvio spesso rifiutate a scatola chiusa perché vittime di pregiudizi tutti italiani.

Ma non voglio dilungarmi oltre. Questo potrebbe diventare un articolo immenso se parlassi di tutto ciò che mi ha lasciato perplesso in questo 2019. Avrei quindi chiuso così, con la speranza di un futuro, automobilisticamente parlando, migliore ma poi vengo travolto dai ricordi. Di anni ne ho 26 e guardandomi intorno noto con grande dispiacere che la mia generazione non ha il minimo interesse nei confronti delle automobili. Rivolgo uno sguardo a chi è più piccolo e noto che c’è ancora meno interesse.

Poi rifletto, lancio un’occhiata in giro e realizzo che in fondo la passione per le auto è morta molti molti anni fa. Troppi automobilisti sono appassionati di tecnologia e non più di meccanica. Per molti la discriminante nell’acquistare una nuova vettura risiede nell’infotainment, nella compatibilità con lo smartphone o qualsiasi altro aggeggio a batterie. I tanto decantati ADAS diventano la scusa di chi al volante proprio non vorrebbe mettersi, diventano soluzione per chi nel tempo non ha mai avuto intenzione di apprendere e di conoscere il sofisticato mondo della guida. Diventano soluzione per chi ha l’esigenza di spostarsi da A a B e nel frattempo vuole distrarsi con altre mille funzioni perché non prova nessun piacere o emozione nel guidare una macchina. Diventano soluzione per chi senza sforzo e senza applicazione vuole ottenere dei risultati. Sicuramente le vite in gioco sono la priorità, ma viviamo in una società che fornisce soluzioni a problemi che 50 anni fa venivano risolti rimboccandosi le maniche.

La guida autonoma avrà infinite applicazioni positive ma condannerà l’uomo ad una silente schiavitù tecnologica che di fatto lo renderà incapace. È l’epoca in cui è più semplice rimpiazzare che sensibilizzare.  Andiamo incontro alla rivoluzione tecnologica che temo ci priverà di quella per noi non è più una semplice esigenza ma una magnifica passione. L’automobile.

Ermanno Ceccherini

Quando è tempo di presentazioni sono sempre un po’ perplesso. Presentarsi può essere una banalità, una prassi semplice e quasi automatica se la si fa istintivamente e senza troppi pensieri. Pensate a quando vi presentate con qualcuno e 10 secondi dopo nessuno dei due ricorda il nome dell’altro. Ma se la presentazione ha un significato più profondo e fa parte di una relazione che si spera essere poi duratura, allora le difficoltà salgono. Ed è questo il caso. Ma va fatta, e allora... Mi presento. Il mio nome è Ermanno è la prima cosa da sapere su di me è che ho un’insaziabile fame... di motori. Ricordo nitidamente il momento in cui questa mia passione è sbocciata. Ero lì, avevo poco meno di 3 anni, e le gambe di mio padre erano il collegamento tra me e una sgargiante Fiat Coupè 16v Turbo. Tenevo con forza lo sterzo tra le mani ed ero affascinato da quel mondo tanto vicino quando misterioso. Qualche anno dopo mi ritrovavo in sella alla mia prima motocicletta, una pitbike, di quelle che si mettono in mano ai ragazzini, e io, poco più che poppante mi troviamo nuovamente difronte a un amore incondizionato per qualcosa che non conoscevo. Sono bastati pochi metri per capire che anche il mondo delle due ruote faceva parte di me; altrettanti per rendermi conto che l’asfalto ha una consistenza tale da non lasciare scampo alla pelle. Primo giorno, prima caduta, primi incoraggiamenti da chi oggi mi guarda da lassù a risalire in sella. E così ho fatto. Da allora non ho più assaggiato l’asfalto, ma continuo ad assaporare il vento in faccia e quel senso di libertà che solo le due ruote sanno darmi. Una decina di anni dopo sono arrivati i 18. Li aspettavo con ansia ma solo perché sapevo che con loro sarebbe arrivata la patente. Tra le mani una MiTo con così pochi cavalli da far sembrare la Coupè una supercar, eppure la legge non mi permetteva di guidare altro. Gli anni passano, e oggi, che ne ho 26, di auto e moto ne ho viste e provate parecchie. Ho sviluppato nel tempo uno strano senso critico. E per critico non intendo tanto la capacità di giudicare quanto piuttosto una ingombrante vena polemica che spesso mi spinge a gettare fango sulle auto moderne. Sarà forse perché tra le mani ho sempre qualche intrigante youngtimer? Chissà, questa è un’altra storia. Questa è una parte di me, tanto altro lo leggerete nei vari articoli. Benvenuti su Piedi Pesanti !

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.