Una “berlina comune”, figlia degli anni ’70 nelle forme squadrate, nella grande luce da terra (da fare invidia a molti SUV contemporanei) e nella gamma di colori “natural”, come si direbbe oggi, in voga proprio negli anni della crisi petrolifera (come spiegato nel video di qualche tempo fa).

Eppure una berlina comune che fa girare così tante teste di chi ha qualche capello bianco e se la ricorda bene, non l’avevamo ancora provata. Il motivo è che la Fiat 131 era l’ammiraglia italiana degli anni ’70 e primi ’80, da tutti desiderata e considerata un po’ un punto di arrivo; nonostante ciò, la sua genesi non è stata delle più facili.

La Fiat 131 arrivò proprio nel 1974, appena dopo la crisi petrolifera nata nell’ottobre 1973 dalla guerra del Kippur che pose fine ai due floridi decenni tra gli anni ’50 e ’60 che videro l’occidente prosperare nella crescita e nel benessere economico, con un tasso di motorizzazione dell’Italia in rapida crescita grazie alla 500 prima e poi alle sfiziose 124 e 125. Ed è esattamente la Fiat 124 che la 131 doveva andare a sostituire ma oltre che essere più moderna e sicura, doveva consumare meno, ché il petrolio costava talmente tanto da far anticipare il TG1 alle 20 per mandare prima a letto le persone.

Consumare meno significava fare una grossa rinuncia: abbandonare il bialbero, conosciuto ed apprezzato per la sua brillantezza e la sua risposta che fecero innamorare molti uomini italiani della 124 (e fortunatamente più tardi di moltissime altre macchine nazionali). La 131 nasceva così, senza versioni coupé e cabrio (all’epoca desiderate come oggi lo sono le varianti “coupé” dei crossover), senza bialbero e in gran segreto, in appartamenti presi in affitto da FIAT in giro per Torino, lontana dalle manifestazioni sindacali di Mirafiori, quartiere torinese al quale però alla fine, è stata dedicata.

 

Come fare per rendere una macchina così, appetibile ed apprezzata dalle famiglie italiane? Con l’affidabilità e la robustezza, ma non solo. La berlinona piemontese nasceva con un trattamento antiruggine a base di olio ceroso negli scatolati, paraurti ad assorbimento e dei motori, inizialmente dei quattro cilindri in linea 1.3 65cv e 1.6 75cv monoalbero pensati per lavorare a basso numero di giri, consumando poco e durando molto.

Il motore era longitudinale arretrato sopra l’asse delle ruote anteriori e la trazione posteriore.

Ma all’epoca per essere apprezzati e desiderati sul mercato bisognava lanciarsi nell’arena delle competizioni e FIAT stava già spadroneggiando con la leggendaria Lancia Stratos, anch’essa figlia della crisi energetica, campionessa del mondiale costruttori e del Rally di Montecarlo (cancellato nel ’74 per la crisi petrolifera così come oggi si cancellano gli eventi per il COVID) ’75, ’76 e ’77.

Nel 1978 così si decise di “uccidere” la Lancia Stratos, per dar risalto alla Fiat 131 (tutt’oggi uno scandalo per gli appassionati) che doveva farsi conoscere e doveva vincere, ché a Torino le competizioni all’epoca si facevano e non si partecipava certo per arrivare secondi.

La Fiat 131 Abarth Rally, con la livrea Alitalia ereditata dalla Stratos ed il quattro cilindri derivato da quello della 124 con 230cv, nel 1977 domina la scena. Nel rally di Corsica dello stesso anno nelle prime 8 posizioni arrivano 5 FIAT 131 ed il mondiale costruttori è vinto. Nel 1978, la Ford Escort RS si piega alla supremazia italiana che si porta a casa 5 vittorie, il mondiale costruttori il campionato italiano e la coppa FIA Piloti.

Nel 1979 FIAT inizia a ridurre la spesa per le competizioni partecipando solo a tre eventi, uno dei quali comunque vinto grazie al mitico Markku Alén.

Nel 1980 si abbandona la livrea Alitalia in favore dei (nuovi) colori aziendali biancoblù e nonostante l’ormai progressiva riduzione di budget di FIAT destinato alle competizioni, la 131 con Walter Röhrl, vince il Rally di Montecarlo, il mondiale piloti ed il mondiale costruttori.

Dal 1981 la FIAT si ritira dalle competizioni decidendo di dedicare al rally solo il marchio Lancia ma con il senno di poi sappiamo che è una notizia solo apparentemente amara, visto che alla Storia è stata consegnata la Lancia Delta Integrale.

Nel 1981 però la 131 arriva alla terza serie e si può fregiare del mitico adesivo “campione del mondo rally 77 78 80” che era in dotazione a tutte le berline dell’epoca. Il terzo ed ultimo restyling arriva con una rinfrescata al posteriore, con i fari ora a motivi verticali in linea con le mode dei neonati anni’80 e con soluzioni tecniche da ammiraglia. La bocchetta dedicata allo specchietto per evitare l’appannamento del vetro proprio vicino ai retrovisori (o al retrovisore, perché il destro era optional), interni in plastiche morbide (che oggi definiremmo “soft touch”), plancia e leva del cambio riviste ma soprattutto un nuovo motore.

Il “quasi millequattro” 1365 da 70cv a 5500 giri (ma il contagiri era optional) e 11 kgm (chilogràmmetri) di coppia (perché quella era l’unità di misura dell’epoca) corrispondenti a 107NM circa (11 * 9.8m/s). Il nuovo motore era un notevole aggiornamento; FIAT passava dal tradizionale aste-bilancieri con albero a camme sul basamento all’albero a camme in testa. Il 1365 manteneva l’affidabilità ed i bassi consumi del “1300” con prestazioni da “millequattro”, ma essendo omologato come “millettré” era meno oneroso da mantenere.

Tofaş 131 Sahin degli anni 2000

Più tardi nella terza serie torna il mitico bialbero nelle declinazioni 1300, 1600 e 2000 che con i suoi 113cv a 5600 giri toccava ufficialmente i 175 km/h ma che i meccanici dell’epoca portavano tranquillamente a raggiungere i 200km/h consentendo ai proprietari più focosi di giocarsela – nonostante il singolo carburatore – con le Alfa Romeo Alfetta, sulle corsie di sorpasso delle autostrade italiane.

La terza serie è stata anche una World Car, proposta in USA come Brava ed Australia come Superbrava ma anche in Egitto, Etiopia e Turchia, dove è stata prodotta dalla Tofaş (che oggi produce la Tipo/Ægea) fino al 2008 (pesantemente ristilizzata e “vestita da Regata) in 1.257.651 esemplari.

Nel 1983 la terza serie esce di scena rimpiazzata dalla meno (meccanicamente) raffinata Regata ma la versione station, rinominata Maratea, continua a rimanere sul mercato fino al 1985 quando viene sostituita definitivamente dalla Regata Weekend.

La versione in prova è proprio la terza serie, 1300, Miratori CL (Comfort Lusso), base come la Giulia che abbiamo provato tempo fa, con solo lo specchietto di sinistra, senza poggiatesta e senza contagiri.

L’auto è del 1981 e ci viene presentata da uno di quei meccanici dell’epoca che la sta coccolando facendola tornare allo splendore di 39 anni fa. Rocco – si chiama così – ci fa notare quanto l’auto sia equilibrata nei pesi e nel suo modo di stare in strada, con una tenuta di strada fenomenale e sconosciuta a molte auto contemporanee “omologhe”, un cambio secco e con innesti ravvicinati (nonostante la leva lunga, normale per l’epoca) ed una carburazione eccellente della quale va – giustamente – fiero.

Appena partiamo notiamo subito a risposta del motore a carburatore. Ormai dimenticata è una sensazione che oggi si prova solo sulle ibride e sulle elettriche; sentire la coppia arrivare all’istante appena si sfiora il pedale, sentire il motore rispondere subito al gesto del piede al semaforo fa venir voglia di esagerare e la berlina italiana tra le rotonde di una Milano estiva deserta e rovente si lascia strapazzare mettendo subito le cose in chiaro; nel traffico sparuto agostano la regina delle rotonde e delle curve è ancora lei, nonostante i suoi quasi quarant’anni passati a percorrere la penisola avanti e indietro dalla Valdichiana, fino alle Dolomiti o alle spiagge di Gela.

Un’auto antica che però con il suo incedere rotondo e avvolgente ci accompagna senza batter ciglio sia nella vita “normale” tra un supermercato ed un distributore, sia tra le tangenziali semivuote, per nulla timida nel sorpassare le auto più lente.

Allora Brava, Fiat; volevi fare una macchina che durasse e ci sei riuscita, con questa berlina che, ancora non restaurata, dopo 39 anni fa ancora tutto ciò che fanno le auto contemporanee, consumando circa 8 litri ogni 100 km percorsi (per un’auto a carburatore non è niente male) e partendo sempre al primo colpo, anche quando fa freddo.

Luca Santarelli

Sono Luca, Piede Pesante degli anni ’80. Da bambino volevo fare il ferroviere, il "guidatore" o il pilota di F14. Mi piace tutto quello che ha un motore e fa rumore (anche le bici però) tanto che, di usare cose a motore rumorose, alla fine ne ho fatto una professione. Mi piace anche viaggiare e fare le foto, sono qua anche per questo. Non mi piacciono il sottosterzo, gli scarichi finti e soprattutto quando arrivi al Bar per fare colazione e sono finiti i cornetti! Benvenuti su Piedi Pesanti.

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