Un motore “heavy duty” (ed a ciclo Atkinson) da 99CV che funziona a “giri costanti”, un altro motore elettrico da 82cv che a bassa velocità la rende silenziosa come un catamarano a vela, una propensione naturale alla conservazione (o il riuso) dell’energia cinetica accumulata e trasferimenti di carico importanti da sembrare effetti evolutivi di un’elica.
Ci stiamo dando alle barche? No, o perlomeno, non ancora. Siamo sulla Toyota Auris Touring Sports e se la parola “sports” forse è stata usata solo per fare riferimento all’immensa quantità di attrezzature sportive che ci potrete caricare, il paragone con la nautica non è del tutto fuori luogo. Perché? Ora ci arriviamo.
Tralasciando l’estetica (totalmente votata all’aerodinamica) che è soggettiva e – diciamo – molto molto lontana dalla mia personale idea di bellezza, l’idea di mettermi alla guida dell’ennesima auto orientale con il cambio a variazione continua sulle prime mi sconfortava profondamente.
All’”accensione” se le batterie a nichel-metallo idruro non sono particolarmente scariche non si sente nulla, esattamente come su una elettrica. I primi metri, le manovre nel parcheggio le si fanno nel silenzio assoluto; una “modalità stealth” che sorprenderà il pedone che non sentirà muovere nulla dietro di sé.
Appena si esce dal parcheggio e ci si immette in una strada di città, ripartendo da fermi la spinta è poderosa e godereccia. La risposta al pedale del motore sincrono da 650 volt fa balzare immediatamente con la mente ad un’auto a carburatori, il motore termico entra in maniera quasi impercettibile, silenziosamente ma con un “calcetto” che sembra una cambiata secca di un cambio a doppia frizione con aggiunta un po’ di spinta in più. Partire ai semafori non è mai stato così divertente.
Tutto questo però, finisce presto. Appena le si chiede di più, come è normale che sia, il termico deve necessariamente dare il suo contributo ed il cambio eCVT a variazione continua uccide totalmente il piacere di cui si parlava poco sopra. Il motore diventa presente, l’accelerazione costante, monotematica, piatta, fastidiosa.
Non si va piano perché questa Auris a livello di prestazioni assolute, con una potenza totale del sistema di circa 100KW (134cv) piano non ci va, solo che senza il ritmico intervallarsi delle marce accompagnate dalla melodia del motore che le asseconda e che qua non esiste, sembra di andare pianissimo; il che è anche “pericoloso” per gli autovelox dato che tra la spinta elettrica e quella del 1.8 a benzina i limiti di velocità urbani si superano senza nemmeno accorgersene: o quasi!
La Auris spegnerà subito le vostre fantasie sportiveggianti redarguendovi diligentemente (e con una voce anche un po’ “bacchettona”, almeno in italiano) con un “superato limite di velocità” che se sulle prime vi farà sorridere, alla prima rampa autostradale in cui lei pretenderà che da 130 all’ora voi rallentiate improvvisamente a 40, vi farà non poco innervosire.
Poco male, basta alzare il piede che (con un “effetto scooter” che però essendo ibrida le è assolutamente concesso) la Auris inizierà a rallentare quasi come fa una barca quando si toglie potenza. La lancetta del “contagiri” cadrà istantaneamente nella posizione di riposo, occupata totalmente dalla zona “CHARGE”, in cui l’auto recupererà l’energia cinetica persa, immagazzinandola nelle 28 batterie da 2,5 AH pronta a restituirvela alla prossima ripartenza o alla pressione del tasto EV, facendovi fare una gran figura tra le strade dei centri storici, con le persone che vi guarderanno ammirate per la vostra silenziosità, la vostra coscienza ambientale e l’aura hipster che tutto questo vi conferirà inevitabilmente.
Ma se la metropoli tra ripartenza e recupero di energia è il suo ambiente di elezione in autostrada l’ibrida si sa, soffre. Ebbene anche qua la Toyotona mi ha zittito. Nei circa 5000 km che ci ho percorso attraverso l’Italia da Nord a Sud durante la prova, mantenendo i 135 indicati costanti (130 reali) e senza nessuna fantasia da Autobahn, non ha mai consumato meno di 17 km/l, con punte – in giornate in cui mi sentivo particolarmente svedese – di 21. Impressionante; un piccolo miracolo nipponico.
Auto perfetta allora? Tutt’altro. Se la sua capacità di carico è simile a quella di un furgone (ci potete mettere due bici “intere” per restare in tema green, due valigie grandi, un mobile TV, la spesa ed un vaso con un’Agave, tanto per fare brainstorming), e le sue percorrenze con un litro di benzina sono impressionanti, sul misto soffre tanto.
Lo sterzo – talaltro con uno stupefacente rapporto di 14.6:1 (14.5 con i cerchi da 15) paragonabile ad alcune berline sportive bavaresi – non riesce a trasmettere la sua prontezza al telaio ed al reparto sospensioni che, comprensibilmente, sono fatti per altro e sul misto vi faranno sentire più su un bell’entrobordo tra le cale dell’Argentario che su una station wagon moderna. Se ci mettiamo il motore che gira a ritmo costante e la gestione dell’energia cinetica che necessariamente dovrete imparare a conoscere ecco che vi farà sentire skipper in una barca da diporto, almeno finché l’avviso del “superato limite di velocità” non vi riporterà al GRA intasato o ai barbuti ambientalisti di Isola o del Pigneto che vi guarderanno con approvazione passare silenziosamente tra un barber shop ed un’officina per biciclette.
Un’auto lontanissima dall’idea di macchina per Piedi Pesanti, agli antipodi per chi cerca la “bella guida” e persino lontana dal “compromesso” che possono rappresentare alcune wagon tedesche o boeme, con le loro plastiche perfette, assetti consistenti e prestazioni di tutto rispetto.
Un’auto che mai e poi mai avrei pensato anche solo lontanamente di considerare come tale e che quando ne ho preso in mano la chiave ero convinto avrei “demolito” raccontandola. È successo invece esattamente l’opposto; è stata lei che ha demolito me e le mie granitiche certezze “anti ibrido” facendomi capire che sì, è vero, lei è fatta per farti andare piano e gestire l’energia (diciamocela tutta, appena ne vediamo una cerchiamo tutti di sorpassarla!) ma l’ibrido può essere usato per andare forte eccome, riempiendo quel vuoto in basso che manca ad i turbo benzina moderni con uno schiaffo nella schiena che vi riporterà ai doppi carburatori delle nostre amate Alfa 75.
Complimenti, Toyota.